spacer spacer
Home page        Il progetto        Parma Online        Come contribuire        Come contattarci
ARCHIVIO MOSTRE
Biblioteche del Comune di Parma uno sguardo oltre le mura
CERCA
 
Solo immagini
Solo testi
Foto e testi
 
LA BIBLIOTECA POPOLARE
LA CHIESA DI SAN ROCCO

Presentazione
Informazioni
Conferenze
Introduzione alla mostra
Gli anni del Littorio
I giorni neri. Parma 1943-1945
Gli anni di Picelli in Unione Sovietica
L'economia parmense nel ventennio
Il salvadanaio di grandi e piccini
La Chiesa di Parma
Le trasformazioni urbane (1927-1945)
Le arti figurative
La vita musicale
La vita letteraria
La fascistizzazione dello sport
I periodici
Quaderno didattico
Credits
Storia di ieri: I giorni neri. Parma 1943-1945 [ versione stampabile ]

 

di Margherita Becchetti

La sera dell’8 settembre 1943, un’ora prima della mezzanotte, Ferdinando Bernini e Aristide Foà, membri del Comitato d’azione antifascista,ancora turbati per le notizie che la radio aveva da poco trasmesso, si recarono in piazza Garibaldi, al Palazzo del Governatore, per avere informazioni dal presidio militare sugli sviluppi di quella straordinaria situazione e per chiedere armi da distribuire ai cittadini disposti – in caso di bisogno – ad affiancarsi all’esercito nel difendere la città. Mentre carri armati, camionette e autocarri della 1ª Divisione granatieri SS “Adolf Hitler” continuavano ad avviarsi verso il centro e a percorrere i viali principali, il generale Giovanni Moramarco liquidò i due antifascisti con poche parole, dicendo che su Parma, come sul resto del Paese, non incombeva alcuna minaccia, tanto meno da parte dei tedeschi (1).

Poche ore dopo, nel pieno della notte, gli abitanti del centro storico, delle vicinanze del Parco Ducale e della Cittadella, poterono sentire i primi colpi di cannone abbattersi sulle caserme e sui presidi dei militari italiani
(2). Al mattino, frastornati dal succedersi vorticoso degli eventi, in molti scesero per le strade e, bicicletta alla mano, andarono a vedere coi propri occhi le macerie di quella nottata, calpestando per la prima volta polveri, calcinacci e detriti che, molte altre volte, avrebbero ingombrato le strade del centro abitato.

Intanto, fuori dalla residenza municipale, un manifesto stampato in tutta fretta e firmato dal commissario prefettizio Vincenzo Eduardo Gasdia annunciava l’avvenuta occupazione della città, invitando i cittadini alla calma e al rispetto degli ordini imposti dai militari tedeschi. Il coprifuoco, poi, sarebbe stato anticipato alle 20, al limitare del buio
(3).

Il giorno dopo, a Mariano, nella villa del professor Angelo Braga si riunirono alcuni dirigenti del Partito comunista italiano, convinti che fosse ormai giunto il momento di passare a un’azione più concreta, che fascisti e tedeschi potessero essere affrontati armi in pugno
(4). Del resto, anche nel Parmense, campagne e montagne andavano popolandosi di soldati sbandati, giovani ancora in divisa che, con lo sfacelo del regio esercito italiano, tentavano di tornare a casa o, quantomeno, di sfuggire alla deportazione in Germania. Quei giovani dovevano essere aiutati e convinti a combattere nuovamente, ma questa volta dalla parte opposta. E poi bisognava trovare armi, contatti, sostegni e collegamenti in ogni paese della provincia, dare aiuto ai militari alleati che, in quegli stessi giorni, fuggivano dal campo di prigionia di Fontanellato (5). Villa Braga fu il primo di molti altri incontri cui avrebbero presto partecipato anche uomini di altre forze politiche e che, nel giro di poco tempo, composero una rete clandestina sempre più organizzata e, seppur faticosamente, unitaria. Il 15 ottobre, poi, nello studio del notaio Giuseppe Micheli, si costituì il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale, cui aderirono rappresentanti di tutti i partiti antifascisti (6).

Intanto, mentre tra le fila antifasciste iniziava il lavoro organizzativo, in città si stabilivano gli uffici e gli uomini della Militärkommandantur 1008, l’amministrazione militare tedesca che, fino all’aprile 1945, esercitò giurisdizione anche sulle province di Piacenza e Reggio Emilia. Qualche settimana dopo l’8 settembre il Comando militare trovò sede, dapprima, nella caserma “Tronti” – edificio che faceva parte del complesso di San Giovanni Evangelista –, poi in piazzale Volta, nell’ex edificio della Gioventù Italiana del Littorio. A poca distanza, all’angolo tra viale Umberto I e viale Rustici, a villa Medioli, si stabilì la Feldgendarmerie (polizia militare), mentre nell’estate successiva, nel vicino palazzo Rolli, di fronte al casino del Petitot, si stanziò la Polizia di sicurezza – SD (Sicherheitspolizei-Sicherheitsdienst). In breve, dunque, la zona a ridosso della Cittadella – elegante quartiere a sud dell’ex cinta muraria, lontano da possibili obiettivi dei bombardamenti alleati come la stazione ferroviaria e la zona industriale – divenne una vera e propria “cittadella militare” nella quale, oltre a uffici e celle di sicurezza, trovarono alloggio anche la maggior parte degli ufficiali tedeschi, domiciliati in numerose ville nei viali Umberto I, Duca Alessandro, delle Rimembranze e Solferino. Al n. 8 di quest’ultimo, ad esempio, stavano la residenza e gli uffici personali del colonnello Hans Mühe, comandante della Militärkommandantur
(7). Gli uffici tedeschi svolsero una forte attività di controllo sull’amministrazione cittadina e provinciale e, dalla fine del luglio 1944, anche sull’ordine pubblico della città, pesantemente controllato dagli uomini della SD.

Entro la fine del mese, poi, anche le gerarchie fasciste, dopo i sussulti del 25 luglio, rafforzarono la loro presenza in città e, dal 21 settembre, l’ex federale Antonio Valli si ristabilì a capo del PFR e, poco dopo, della Provincia, sommando in sé le cariche di commissario del partito e prefetto
(8). Intorno a lui si raccolse l’anima più intransigente e squadrista del fascismo parmense, che spingeva per una profonda revisione degli apparati di potere cittadini e degli organi di polizia, mirando a eliminare e isolare gli elementi più “tiepidi” (9). Piuttosto esplicite, in questo senso, le considerazioni che uno dei suoi più stretti collaboratori – Guglielmo Ferri, vicecommissario federale – inviò a Valli già il 30 settembre, invitandolo ad assicurarsi il controllo della Questura:

Dei carabinieri Ti ho già parlato e non posso che confermarti il loro antifascismo. La polizia potrebbe invece servirci, perché non ha tradizioni dinastiche e, francamente, in certi elementi, specie subalterni, ha simpatizzato per il fascismo […]. In Prefettura bisogna fare tabula rasa! Se tu non arrivavi a Parma ero deciso ad occuparla ed a proclamarmi prefetto reggente, poiché è assurdo che tutt’ora le pratiche amministrative che rivestono tanta importanza, vengono ancora svolte da quei signori. […] Ad esempio, potresti affidare temporaneamente la Questura ad uno di noi. In tale maniera la Milizia non si farebbe dei nemici e Ti garantisco che nelle mie mani, o in quelle di Mattioli o di Valdrè o di qualche altro fedelissimo, l’antifascismo locale subirebbe una Waterloo dalla quale mai più si rialzerebbe. La Questura ha un vantaggio: quello di conoscere tutto e tutti! Capito? (10).


Lo stesso Ferri, peraltro, aveva preparato e inviato a Valli per via «riservatissima» una lista di una sessantina di possibili «ostaggi» da «assicurare a nostra disposizione per poter procedere ad eventuali rappresaglie nel caso di aggressioni a nostri camerati », nella quale erano nominati numerosi professionisti e artigiani già noti per le loro idee antifasciste, come gli avvocati Druso Parisi e Lanfranco Fava, il dottor Angelo Braga, i calzaturieri Piero e Vittorio Massolo, i ragionieri Bruno Longhi ed Ercole Mason, il professor Aurelio Candian, il pellicciaio Adriano Cavestro e molti altri che sarebbero divenuti presto dirigenti o protagonisti del movimento partigiano (11). In quelle prime settimane dopo l’armistizio, poi, anche diversi ufficiali e militari – insieme a qualche noto antifascista come Ferdinando Bernini e a persone «responsabili di manifestazioni e atti antifascisti» nei 45 giorni del governo Badoglio – erano finiti nelle celle di San Francesco, come i colonnelli Francesco Moreno e Francesco Sebastiani, comandante del presidio militare fino al 28 agosto (12).

A eseguire gran parte dei fermi erano stati uomini della “polizia” federale, cioè squadre armate che, anche a Parma, si erano costituite intorno alla federazione fascista e che – secondo quanto Valli scrisse ai commissari dei Fasci della provincia invitandoli a costituire proprie formazioni – dovevano avere come «fondamento basilare la purificazione locale di tutti coloro che intralciano il movimento di resurrezione intrapreso dal PFR»
(13). Una “polizia” autonoma, dunque, espressione del fascismo più radicale che, per diversi mesi, praticò fermi, arresti e perquisizioni, muovendosi fuori dal controllo della Questura e degli altri organi di pubblica sicurezza. Anzi, secondo quanto scrisse ancora Valli ai commissari provinciali, le azioni di polizia politica svolte dalle squadre delle federazioni non avrebbero dovuto, in nessun caso, curarsi del «benestare o del parere dei Carabinieri del luogo» che avrebbero potuto «in qualche modo intralciare le nostre azioni»:


Nel paese, nella frazione, al di sopra di ogni autorità, in materia politica il capo assoluto, indiscusso, è il Commissario del Fascio che si serve dei propri fascisti per compiere tutte quelle azioni che ritiene indispensabili e urgenti per porre termine a situazioni insostenibili, per diffidare persone che col loro atteggiamento contrario intralciano il cammino di rinascita intrapreso, che si fanno propagandisti filoinglesi, filocomunisti (14).

In queste azioni, dunque, secondo Valli, milizia e carabinieri dovevano avere «una funzione meramente esecutiva». Tutto ciò destò più di un malumore in città, anche in ambienti tradizionalmente legati al governo mussoliniano. Nel dicembre 1943, ad esempio, dopo l’ennesima retata diretta da Ferri e Venturini, Amerigo Ghirardi – fascista della prima ora, già segretario dei Fasci di Fidenza, Noceto e Salsomaggiore, membro del direttorio della federazione tra il 1928 e il 1930, ispettore federale tra il 1941 e il 1943 e ora commissario dell’amministrazione provinciale – avvertì Valli che quegli arresti così frequenti in città cominciavano «a preoccupare, o per lo meno a far pensare non per il numero, ma particolarmente per la facilità con la quale vengono operati» (15).


Sarebbe per me motivo di vivo rincrescimento e di rammarico [proseguiva Ghirardi] che tu dovessi ammetter che buona parte di questi fermi sono stati dovuti a segnalazioni errate o interessate, perché su questi provvedimenti va oggi maggiormente polarizzandosi l’opinione pubblica, nella quale si è creato il pauroso sbandamento, e quel che più conta, riaffiora l’indignazione della massa (operai compresi) per quei sanzionati per i quali ci si è dovuto ricredere nel giro di pochi giorni, se non di poche ore. Talvolta la notorietà del fermato, se non è pubblicamente giustificato il fermo, e se per contro il fermato è rilasciato dopo poco tempo, acuisce vieppiù l’indignazione del pubblico e inasprisce il suo risentimento. Si operi quindi in questo campo con tatto e senso di discernimento (16).


Probabilmente, quella lunga serie di fermi mirava a contrastare la decisione del governo centrale di sciogliere le squadre federali che, dall’8 dicembre, avrebbero dovuto essere ufficialmente sostituite e “normalizzate” con la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). E infatti, segnalando a Valli la riuscita delle operazioni che avevano portato alla carcerazione di diversi sospetti, Ferri scriveva:


A proposito di tale azione compiuta dalla Polizia Federale penso che sia opportuno da parte del Centro revocare lo scioglimento delle squadre […] poiché se veramente potenziate esse sarebbero in grado di rendere servigi incomparabili alla Rivoluzione, come ha dimostrato in Parma e provincia compiendo un numero di fruttuose operazioni e di arresti importanti in pochi giorni, di gran lunga superiori a quelli fatti da tutti gli altri organismi di Polizia dal 19 settembre in poi. È solo attraverso la Polizia Federale, composta completamente di fascisti intransigenti che non lavorano per il 27 del mese ma che nella caccia ai nemici mettono tutto l’ardore della loro fede e ispirati da un sentimento di legittima difesa personale, che possono essere stroncati i movimenti antifascisti e può essere iniziata la lotta contro la massoneria, della quale è illusorio pensare ad una avvenuta liquidazione, e contro i traditori che ancora oggi certamente si annidano nelle file del Partito, nei Ministeri, negli Organismi economici, nelle Prefetture ecc. (17)

In Antonio Valli e nei suoi più stretti collaboratori, dunque, la decisione di sciogliere la polizia di partito non aveva sollevato particolare entusiasmo, anche perché, a detta dell’ispettore di pubblica sicurezza Domenico Coco, il capo della provincia, «impressionato per gli avvenimenti del periodo badogliano », non nutriva «soverchia fiducia in alcuni funzionari di Ps e più generalmente sulla Questura» (18). D’altro canto, sempre secondo Coco, l’attività di quelle squadre, gli arresti e il clima di violenta rivalsa che avevano caratterizzato, a Parma, gli uomini e le vicende della federazione in quei primi mesi del nuovo governo mussoliniano, non erano stati elementi privi di conseguenze sulla serenità della vita cittadina e, anzi, avevano provocato «disagi, preoccupazioni ed ansie anche presso cittadini degni di stima» (19).

Presto, dunque, una sottile sfiducia reciproca si insinuò tra gli organi di pubblica sicurezza e la federazione del PFR, tanto che Coco, nei suoi rapporti al capo della polizia, non esitava a definire Ferri «profittatore ed amorale» e Venturini «elemento scarsamente capace, niente affatto sereno, ed anche discusso moralmente»
(20). A suo parere, dunque, per restituire «prestigio e responsabilità» alla Questura e ai suoi organi dipendenti, la situazione in città doveva essere risolta al più presto con lo scioglimento delle squadre che, nonostante le disposizioni governative, ancora nel gennaio 1944 continuavano ad agire (21). E persino nel marzo – sebbene anche il questore Alberto Bettini (a Parma dal 15 gennaio) avesse cercato «con ogni mezzo di ottenere che tutti i servizi di polizia siano accentrati e dipendano esclusivamente dalla Questura» (22) – le formazioni federali continuavano a essere attive, mascherate con «qualche agente e qualche carabiniere» che, secondo Coco, erano stati loro affiancati «in modo da poter far ritenere che si tratti formalmente di organizzazione perfettamente regolare» (23).

Nei primi mesi  dell’occupazione, anche il comando tedesco non vedeva di buon occhio l’attività dei fascisti più radicali e delle squadre di partito, i cui gesti autonomi e arbitrari minacciavano l’ordine pubblico e rendevano più difficile il controllo della città. Il 25 febbraio 1944, ad esempio, il Comando SS di Bologna, invitando i questori delle città emiliane a una riunione per «ottenere una più precisa e perfetta collaborazione», aveva insistito particolarmente per «l’assoluta eliminazione della Polizia federale e di formazioni irregolari»
(24).

Gli attriti tra la federazione del PFR e i comandi tedeschi si resero evidenti alla fine del gennaio 1944, in occasione dell’incidente che provocò la morte del milite GNR Adolfo Cianchi e della successiva uccisione, per rappresaglia, di Tommaso Barbieri, Emmo Valla ed Ercole Mason, noti per le loro idee antifasciste. Il 31 gennaio, in via Cavour, una bomba a mano esplose in mezzo a un gruppo di militi della Compagnia “Ettore Muti” che marciava per il centro. Immediatamente si diffuse la convinzione di un attentato e altre tre bombe lanciate dagli stessi militi scoppiarono nel giro di pochi istanti. Una di esse colpì il giovane Cianchi, che morì sul colpo, mentre altri rimasero feriti. Valli, convinto sostenitore della tesi dell’imboscata, già poche ore dopo quello che, a detta degli stessi organi di pubblica sicurezza, si sarebbe presto dimostrato un incidente, avrebbe voluto immediatamente dar corso alla rappresaglia, riunendo il Tribunale Militare Straordinario «per sottoporre a giudizio alcuni sovversivi già da tempo arrestati», ma incontrò ferma opposizione nel Comando militare tedesco, per nulla convinto che si fosse trattato di un attentato
(25). Durante la notte, però, fascisti rimasti ignoti – ma senza dubbio legati all’anima più radicale della federazione – irruppero nelle case di Barbieri, Valla e Mason, li trascinarono fuori e li uccisero a pochi metri dalla loro abitazione, lasciandone i cadaveri in mezzo alla strada.

Questa brutale rappresaglia – che, secondo Coco, venne compiuta da «fascisti del luogo, per ordine superiore» e non da forestieri, come sostenuto dalla propaganda repubblicana – aprì una nuova falla tra la Federazione e gli organi di Ps e mise in crisi la compattezza della classe dirigente parmense. Qualche settimana dopo, infatti, la Questura informò gli uffici superiori che tra Valli ed Elio Bernini – comandante della Legione della milizia che già aveva disapprovato molti arresti «ritenuti arbitrari» – si erano acuiti i dissapori, poiché l’ufficiale aveva espresso apertamente

il convincimento che il grave incidente dinnanzi al Caffè Centrale non sarebbe stato provocato da sovversivi. […] Così è sorto un certo contrasto tra la eccellenza Valli e il Bernini, il quale, proposto per ciò pel trasferimento ad altra sede viene però ancora trattenuto sul posto dal Comando Generale della Milizia (26).

Viceversa, di lì a poco, a essere trasferito fu lo stesso Valli che, dal 14 marzo, venne sostituito da Ugo Leonardi (27). La decisione del governo centrale di rimpiazzare il capo della provincia, e parte della classe dirigente a lui legata, ebbe certamente a che fare con il clima di tensione che la rappresaglia del 31 gennaio aveva suscitato in città e mirò a conquistare consensi nell’opinione pubblica, riconducendo la federazione parmense a una maggiore disciplina verso le istituzioni(28). Da diverso tempo, infatti, le relazioni dell’ispettore Coco al capo della polizia si soffermavano sui problemi interni al fascismo parmense e sui confl itti tra un’anima più moderata – che tentava di contenere i malumori e le ostilità popolari – e una intransigente, che non temeva il conflitto e anzi agiva «con scarso criterio di opportunità», operando arresti e perquisizioni arbitrari quando non vere e proprie rappresaglie ingiustificate come nel caso di Barbieri, Valla e Mason (29).

E proprio nei confronti del loro assassinio anche il Comando tedesco aveva assunto una posizione piuttosto severa, mostrando la volontà di «procedere di concerto con la Questura di Parma ad un’inchiesta per identificare e punire i fascisti responsabili dell’uccisione dei tre cittadini che, pur essendo noti come di idee antifasciste, si vuole non fossero però assolutamente pericolosi»
(30).

Qualche giorno dopo, una nota senza firma ma, secondo Guido Pisi, attribuibile a uno dei servizi di sicurezza della Prefettura, aveva concluso segnalando che la Gendarmeria tedesca stava conducendo separate indagini sull’accaduto, secondo le quali la morte del milite era stata provocata da «un’accidentale disgrazia» anziché da un attentato,  delegittimando così la propaganda repubblicana:


Da ciò è derivato [proseguiva la nota] che il Comando Germanico di Parma, informato dalla propria polizia e naturalmente condividendone l’orientamento, abbia opposto decisa resistenza all’applicazione di quelle misure che in casi del genere sogliono adottarsi (anticipazione del coprifuoco – convocazione del Tribunale Militare straordinario).
Tale punto di vista si è altresì palesato nel considerare del tutto ingiustificabili le rappresaglie avvenute e sulle quali il Comando suddetto ha iniziato e sta conducendo una regolare inchiesta che, svolgendosi in forme evidentissime, lede in maniera gravissima, nei confronti della popolazione, il prestigio delle nostre Autorità
(31).

Nei primi mesi dell’occupazione, dunque, anche i rapporti tra i comandi tedeschi e le gerarchie fasciste non furono sempre lineari e, almeno finché i tratti del conflitto civile, che si sarebbe presto scatenato, non furono meglio definiti, non mancarono di diffidenza e sfiducia reciproche.

E un simile sentimento di sospetto i tedeschi lo nutrivano verso le forze di polizia, come emerge spesso dai rapporti periodici della Militärkommandantur: «La polizia è considerata inattiva, inetta e corrompibile», segnalava ad esempio una relazione del 15 ottobre 1943, mentre per alcune settimane svariati funzionari della Questura erano stati «tenuti in quarantena dal Comando militare tedesco, evidentemente per diffidenze suscitate»
(32). Inoltre, solo nel marzo 1944, e cioè quasi sei mesi dopo la riorganizzazione degli apparati di sicurezza repubblicani, il comando tedesco si convinse a rilasciare dei regolari permessi di porto d’armi agli agenti della Questura che, per diverso tempo, avevano dovuto svolgere i normali servizi di pattuglia disarmati (33).

I rapporti tra i tedeschi e le autorità di pubblica sicurezza non furono semplici nemmeno nei mesi successivi, segnati dal vertiginoso crescere dell’attività “sovversiva”. Era soprattutto nelle zone collinari e montane che, quasi ogni giorno, venivano segnalate azioni di bande armate, più o meno organizzate ed equipaggiate, ma certamente sempre più in grado, col passare del tempo, di minacciare le capacità di controllo della RSI e delle forze tedesche
(34). Ma pure in città, nei primi mesi del 1944, cominciò a manifestarsi un certo ribollire dell’attività clandestina anche se, a parte l’uccisione dello squadrista Ezio Gaibazzi, da più voci ritenuto uno dei colpevoli della rappresaglia del 31 gennaio (35), si trattava ancora, per lo più, di un senza dubbio intenso lavoro di propaganda (36). Tra il febbraio e il maggio, infatti, per le strade cittadine, nei cinema, nelle cassette postali, nei quartieri popolari vennero ritrovati numerosi volantini a firma di diverse sigle, dal Comitato di Liberazione Nazionale – che incitava alla resistenza contro fascisti e tedeschi – al comando delle Brigate Garibaldi, che informava la popolazione dell’intensificarsi delle azioni armate dei distaccamenti garibaldini in montagna; dalla Democrazia cristiana ai Gruppi di difesa della donna, dalla Federazione comunista al Fronte della Gioventù. Gran parte di essi incoraggiavano «i giovani a non presentarsi alle armi, a far disertare quelli già arruolati» e a passare «alle truppe dei partigiani»; altri invitavano i lavoratori «a commettere atti di sabotaggio, ad impedire i conferimenti agli ammassi dei cereali e dei grani»; altri ancora si rivolgevano alle ragazze, col consiglio di non partecipare alle feste da ballo organizzate dai tedeschi (37).

Particolarmente attiva fu la propaganda seguita all’uccisione, avvenuta il 9 marzo in piazza Ghiaia, di Eugenio Copelli, uno dei responsabili della rete clandestina in città e dei primi Gruppi di Azione Patriottica (GAP), le squadre armate legate al Partito comunista clandestino che, di lì a poco, sarebbero divenute attive anche a Parma. I tanti volantini distribuiti nei borghi e nelle vie del centro dal Comando dei GAP, infatti, costrinsero la «Gazzetta di Parma» a replicare con un articolo che tentava di giustificare quella morte come una doverosa misura di ordine pubblico, motivata dalla fedina penale dello stesso Copelli, già arrestato a 16 anni per furto d’uva e poi inviato, nel 1931, al confino di polizia «per attività antinazionale e perturbatrice»
(38).

In quella primavera, poi, gli uffici di pubblica sicurezza cominciarono a prestare maggiore attenzione anche agli ambienti cattolici, soprattutto dopo che, in aprile, venne scoperto un gruppo di studenti molto attivo nella propaganda contro «le tendenze totalitarie in atto e cioè fascismo e nazismo», ispirato dal sacerdote don Giuseppe Cavalli
(39).

Il crescere dell’attività partigiana sulle montagne e la diffusione della propaganda in città ebbero ricadute piuttosto spinose sul rapporto tra le autorità repubblicane – rette, dopo l’allontanamento di Valli e della classe dirigente a lui legata, da uomini maggiormente orientati verso la necessità di un’opera di normalizzazione istituzionale – e i tedeschi che, invece, accrescevano le pressioni sui tribunali italiani perché inasprissero le pene verso disertori e ribelli, senza farsi carico direttamente della repressione. «Appare evidente la tendenza da parte delle Autorità germaniche – scriveva ad esempio nel maggio 1944 il questore Bettini – di guadagnarsi la simpatia della popolazione in tutti i modi, anche con quelli che vanno spesso a nostro pregiudizio»
(40). E poi faceva cenno al caso dei giovani del distaccamento partigiano “Griffith” – una delle prime formazioni armate costituitesi in provincia – catturati il 15 aprile sul monte Montagnana da reparti della  Feldgendarmerie e della GNR.

Secondo lui, «almeno la parte dei sorpresi con le armi in mano, potevano essere fucilati sul posto» ma i tedeschi avevano preferito tradurli in città e consegnarli alle autorità italiane per poi sollecitarle perché il processo immediatamente aperto dal Tribunale militare straordinario di guerra si concludesse con la condanna a morte di tutti. «È chiaro – proseguiva Bettini – che in questo modo si vuole dimostrare alla nostra popolazione la generosità delle Autorità Tedesche, lasciando a noi la odiosità dei conseguenti provvedimenti di rigore»
(41).

A rendere più scomoda la posizione delle istituzioni repubblicane, poi, aveva contribuito un’affollata quanto inaspettata protesta di piazza che, in un batter d’occhio, appena diffusasi la notizia del processo, aveva spinto centinaia di persone, soprattutto donne, a radunarsi di fronte al tribunale, per protestare contro la probabile condanna dei 37 giovani che, come segnalava un rapporto della GNR, appartenevano «per la maggioranza a famiglie di Parma e perciò [erano] conosciuti da molti che ne avevano seguito le vicende processuali con ansiosa preoccupazione»
(42). La delicatezza di quella situazione aveva perciò indotto le autorità italiane a non adottare quei «sistemi speditivi» verso cui – secondo il questore – spingevano i tedeschi, ma ad avvalersi di una strategia più cauta (43):

Considerazioni non solo di natura morale [scriveva Bettini al ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi] ma riferite anche alla locale situazione, mi fanno ritenere doveroso tentare un passo che riconosco da me un poco azzardato. Il Tribunale Militare che si riunirà in serata per giudicare 37 renitenti, catturati con una banda armata, ha già deciso, prima ancora di celebrare il processo, la condanna di tutti alla pena capitale. […] Mi permetto quindi rimettere la grave questione alle Vostre mani. […] Soggiungo [proseguiva] di non essere affatto un pietista ma di essere solo sensibile a talune considerazioni di opportunità politica dalle quali, a mio avviso, possono prescindere solo pochi farneticanti fuori strada (44).

Per ragioni di «opportunità politica», dunque, Bettini aveva inoltrato direttamente al ministro dell’Interno domanda di grazia, ottenendo da Mussolini una sospensione della pena in nome delle preoccupanti conseguenze che quella esecuzione avrebbe potuto scatenare in città. «Tale provvedimento ha avuto una enorme ripercussione nella popolazione tutta […] – scriveva il questore – e ha prodotto un generale benefico senso di distensione» (45). Malcontento, invece, aveva causato negli ambienti fascisti «animati da sentimenti d’intransigenza», tra i quali quell’atto di clemenza non era stato compreso e aveva «dato luogo a commenti sfavorevoli» che avevano incontrato «una certa rispondenza» anche nel «locale Comando Germanico» (46).

Altro motivo di attrito tra le autorità italiane e i tedeschi fu il trattamento dei partigiani arrestati che, talvolta, venivano rimessi in libertà dal comando germanico in cambio di propri militari catturati dalle bande, senza il benestare dei servizi di sicurezza repubblicani. Fu il caso, ad esempio, di Flaminio Musa e Maria Zaccarini, arrestati in Oltretorrente da agenti della Questura il 15 giugno 1944 e trovati in possesso di una vasta documentazione che accertava la loro relazione con la rete partigiana, tra cui anche diversi timbri della Brigata Garibaldi. Il comando tedesco, venuto a conoscenza dell’arresto, pretese la consegna dei due prigionieri e qualche giorno dopo li rilasciò in cambio di due ufficiali
(47).

Alle porte dell’estate, di fronte al crescere dell’attività partigiana, si riaprirono anche i contrasti tra la federazione fascista e le istituzioni repubblicane, soprattutto in merito alla gestione dell’ordine pubblico. Il 2 aprile, infatti, era stato incaricato della guida del partito Pino Romualdi, già a Parma dal novembre 1943 perché chiamato da Valli a dirigere la «Gazzetta di Parma». Convinto sostenitore della necessità di epurazioni radicali all’interno del fascismo repubblicano dopo il congresso di Verona e della preminenza del partito sulle istituzioni della RSI, la sua azione fu sempre segnata da una particolare intransigenza. Nel giugno 1944, ad esempio, Bettini riferì preoccupato a Leonardi le misure di ordine pubblico che Romualdi gli aveva suggerito, tra cui l’incarcerazione di qualche migliaio di persone da inviare nei campi di concentramento, la creazione di un campo provinciale, la soppressione del maggior numero di persone sospette e l’armamento di squadre di fascisti da lui dipendenti «per effettuare ciò che la polizia non ritiene di poter compiere»
(48). Anche l’ispettore generale di polizia Papa – in quello stesso mese in ispezione presso la Questura parmigiana – riferì che se in un primo momento la nomina di Romualdi a commissario federale era stata accolta con «discreto favore», aveva poi presto «generato una non celata diffidenza» in città, «per gli orientamenti e le direttive alle quali il medesimo sembra improntare la propria opera»:

Egli, infatti, [proseguiva Papa] sia negli editoriali pubblicati sul giornale «La Gazzetta di Parma» […] che nei discorsi frequentemente tenuti, si dimostra inspirato a criteri di assoluta intransigenza […]. Anche nello stesso ambiente fascista il Dott. Romualdi, per essersi sin dall’inizio agganciato ad un gruppo di fascisti intransigenti ad oltranza e non tutti ben qualificati, si è alienata la simpatia dei più, cosicché la massa degli inscritti al PFR non è affatto spiritualmente e concordemente aderente al proprio Capo legale (49).

Tuttavia, Romualdi minacciava «di imporre comunque le sue vedute, essendo egli, in sostanza, più armato di tutti, avendo il maggior numero e la specie migliore di armi disponibili»:


Risulterebbe, infatti, che la Federazione detiene […] 84 mitra, un numero imprecisato di pistole automatiche ed a tamburo, nonché un numero imprecisato di moschetti; armi che in parte sono conservate in Federazione ed in parte distribuite ai Fasci della Provincia (50).

E tutto ciò nonostante già nei mesi precedenti – in seguito ad alcune azioni di bande partigiane che erano riuscite a impadronirsi di armi in possesso di Fasci o singoli fascisti – il prefetto Leonardi, in accordo con il comando tedesco, avesse dato disposizioni perché tutte le armi venissero consegnate ai reparti della GNR e alla Questura. Il federale Romualdi, infatti, si era opposto alla consegna «asserendo che in virtù di disposizioni testé ripetutegli dal Segretario del PFR, egli deve provvedere alla costituzione di fascisti armati, da tenere a sua esclusiva e diretta dipendenza d’impiego».

Secondo Papa, dunque, i rapporti tra il prefetto, il questore e il federale, «per le pretese che questi avanza di interferenze nelle attribuzioni delle Autorità responsabili», erano «incrinati da qualche contrasto che, se finora non può definirsi un vero e proprio attrito, vi potrebbe in seguito degenerare»
(51).

Allo stesso Romualdi toccò, a partire dal luglio 1944, il comando della Brigata nera, l’organizzazione armata nata con la militarizzazione del PFR che, dal giugno precedente, Mussolini e Alessandro Pavolini avevano voluto nel tentativo di arginare la crisi degli apparati di sicurezza della RSI e l’estendersi della rete partigiana
(52). Anche a Parma, infatti, molti giovani richiamati alle armi nel nuovo esercito repubblicano continuavano a sottrarvisi, prendendo direttamente la via della montagna o scappando dalle caserme qualche tempo dopo l’arruolamento. Nel giugno, ad esempio, l’ispettore Papa riferì che al 25 maggio, allo scadere dell’ultima proroga del bando, si erano presentati solo 300 richiamati e che, «immediatamente dopo, l’attività delle bande fuori legge» aveva registrato «una netta e vivacissima recrudescenza» (53).

Anche i notiziari della GNR segnalavano la stretta relazione tra i mancati arruolamenti e il crescere delle formazioni partigiane. «La chiamata alle armi […] – riferiva uno di questi il 25 giugno – sta dando un esito molto infelice poiché quasi tutti i giovani appartenenti alle classi stesse passano a ingrossare i gruppi dei banditi o si nascondono per evitare di essere inviati in Germania»
(54).

Tra il maggio e il luglio, poi, le azioni partigiane si intensificarono anche in città e, soprattutto, si spostarono dal piano della propaganda a quello ben più pericoloso della lotta armata. La rete clandestina poteva contare su un consenso popolare sempre più diffuso e l’attività di propaganda antifascista trovò terreno fertile nel desiderio di pace «a qualunque costo» che pervadeva ormai gran parte degli umori cittadini. «La situazione politica – aveva segnalato già in aprile una relazione della GNR – permane caratterizzata da sfiducia pressoché generale verso il movimento di rinascita del Paese»
(55). Una sfiducia che si era resa palese anche qualche settimana prima, in occasione del 25° anniversario della Fondazione dei Fasci, con la celebrazione «passata tra la generale indifferenza» e con l’assenza «della gran massa della popolazione» (56).

E, sempre più, le segnalazioni degli organi di sicurezza mettevano in relazione il crescere dell’indifferenza e poi dell’avversione verso il fascismo di Salò con i sacrifici che la guerra da un lato e l’occupazione tedesca dall’altro imponevano alla popolazione. Il razionamento e la mancanza di generi alimentari, di carbone e combustibili, così come il proliferare della borsa nera e il peggioramento complessivo delle condizioni di vita venivano puntualmente rilevati come cause dell’atteggiamento più o meno ostile che la popolazione andava ssumendo. E, secondo i rapporti della GNR, era soprattutto la mancanza di formaggio e latte – «pur essendo la provincia di Parma produttrice di questo genere» – che demoralizzava maggiormente l’umore popolare e accentuava la sfiducia nelle reali capacità amministrative del nuovo stato
(57).

Altro motivo di malcontento era il reclutamento coatto per il lavoro in Germania,sebbene fino al giugno 1944 i tentativi tedeschi di sfruttare manodopera italiana avessero dato scarsi risultati. Tra ottobre e maggio, infatti, solo 655 persone erano partite dalla provincia per il Reich: ben pochi rispetto ai piani del plenipotenziario per l’impiego di manodopera Fritz Sauckel, che miravano a trasferirvi almeno tre milioni di italiani. Anche se tra questi vi furono senza dubbio lavoratori che avevano firmato un regolare contratto di lavoro, molti erano stati precettati o addirittura rastrellati per strada e dunque obbligati a una scelta che non poteva non accrescere ’insofferenza popolare:

La situazione di molte famiglie [segnalava la GNR] è destinata ad essere temporaneamente pregiudicata dall’avvenuto reclutamento per il lavoro in Germania di chi provvedeva a mantenerle (operai, impiegati, piccoli commercianti ecc.). In proposito molti si domandano perché non si è provveduto in primo tempo a reclutare la maestranza tra talune categorie (trafficanti, giocatori di professione, studenti fuori corso, ecc.) che in Patria svolgono attività illecite e improduttive (58).

Che in tali situazioni l’avversione al fascismo si rafforzasse potentemente sembrava naturale agli stessi militi: «Va da sé – riportava un rapporto – che in un clima di questo genere, mormoratori e disfattisti trovano modo di operare agevolmente, infl uendo in misura notevole sull’animo della popolazione» (59). Ma furono certamente anche l’andamento della guerra e i pesanti bombardamenti alleati che colpirono Parma e parte del territorio provinciale a rinvigorire i dubbi e ad accentuare la crescente ostilità al governo mussoliniano, soprattutto per la vistosa mancanza «di una efficace difesa attiva e passiva» che, secondo la GNR, rafforzava «il convincimento della nostra impotenza di fronte all’avversario» (60).

Soprattutto le incursioni su Parma del 25 aprile e del 13 maggio erano state particolarmente violente, avevano distrutto numerosi edifici,provocato centinaia di vittime e diffuso un sempre più tenace desiderio di liberarsi dal fascismo e dalla guerra:


La grande massa del popolo [segnalava la GNR] di fronte alle rovine e ai lutti conseguenti alla guerra aerea, pur temendo il crearsi di una situazione di dipendenza dallo straniero ed altri lutti per una eventuale guerra civile, non desidera ormai altro che la fine del conflitto. Qualunque evento che possa segnare il passo verso la pace viene quindi appreso con favore (61).


In una simile situazione, dunque, la propaganda antifascista non ebbe difficoltà a conquistarsi consensi e sostegni e, nell’estate 1944, la rete clandestina raggiunse un certo sviluppo e una certa capacità di azione anche in città e nelle campagne circostanti. Molti erano ormai i luoghi su cui l’organizzazione poteva contare, magazzini, osterie, falegnamerie, botteghe, appartamenti che venivano utilizzati per incontri e riunioni o per nascondere ricercati o partigiani di passaggio, come casa Polizzi in vicolo Santa Maria, casa Clerici in borgo Regale, casa Bocchi-Odoni in piazzale Marsala, casa Cavestro in via Garibaldi o la casa della famiglia Pocaterra in via d’Azeglio. Numerosi erano anche i luoghi in cui era possibile nascondere armi, come nel capanno degli arbusti del vivaio di fronte al cimitero o nei loculi e nei sotterranei del cimitero stesso, nel giardino delle suore Chieppine di borgo Bernabei, nella caserma dei Vigili del fuoco di via Gorizia, nella fabbrica metalmeccanica di Tommaso Barbieri a barriera Bixio, nella bottega di Dante Gorreri in via Del Prato. Altrettanto diffuse, poi, erano le basi della propaganda clandestina: dalle varie stanze temporaneamente adibite a stamperie – come la mansarda del pittore Elio Corradini di fronte a piazza della Steccata o alcuni locali della biblioteca Palatina – ai luoghi in cui volantini e informazioni venivano smistati, come un negozio di generi alimentari in via Bixio, dove i messaggi venivano nascosti dentro la “pasta buca”, o all’interno delle Poste centrali, dove alcuni impiegati stampavano volantini con un ciclostile a manovella e li distribuivano nelle cassette delle lettere, intercettavano il contenuto della posta proveniente dalla Feldgendarmerie e nascondevano armi e munizioni per le formazioni partigiane nei sacchi della corrispondenza diretta ai paesi della montagna (62).

Dai primi di agosto iniziò a funzionare anche un Comando militare di piazza che coordinava le azioni dei gruppi partigiani nell’area urbana e nella zona tra la via Emilia e il Po. In quell’estate, poi, l’organizzazione riuscì a introdurre propri uomini in diversi organi repubblicani, dall’ufficio politico investigativo della GNR al Comando provinciale militare, dalle carceri alla Questura, dalla Federazione fascista alla Brigata nera
(63). Un’opera di infiltrazione capillare ben documentata dai numerosi bollettini del Servizio Informazioni Militari e del Servizio Informazioni Patriottico (SIM e SIP) che, tramite quei confidenti, procedevano alla raccolta di notizie a carattere politico e militare, come indicazioni sui rastrellamenti in zone partigiane, sulle retate in città o sui ricercati dalla polizia, segnalazioni di case e persone sorvegliate, relazioni sullo stato di strade e ferrovie, sull’equipaggiamento e l’armamento di caserme e presidi, sugli arresti, sui collaboratori di fascisti e tedeschi, sugli spostamenti delle truppe e sui posti di blocco. A partire dall’agosto, SIM e SIP redassero quotidianamente i bollettini che venivano poi inviati ai principali comandi partigiani e alle missioni alleate da tempo stabilitesi sull’Appennino (64). Intensa, poi, era divenuta l’azione delle Squadre d’Azione Patriottica (SAP), composte da uomini e donne che nei più diversi modi sabotavano e rendevano più difficile la quotidianità degli occupanti, come spesso rilevavano i rapporti della Militärkommandantur, secondo cui, ad esempio, continuavano «ad aumentare gli atti di sabotaggio alle comunicazioni provocati con la distruzione di cavi, linee telefoniche e della palificazione» (65).

Dall’inizio dell’estate, inoltre, in città erano diventate più audaci e frequenti anche le azioni armate. Tra il giugno e il luglio, infatti, squadre SAP e GAP misero a segno svariate imprese, colpendo spie, esponenti della RSI e del fascismo cittadino, caserme e depositi di armi. Le imboscate avvenivano solitamente nelle ore notturne, durante il coprifuoco, e mentre in città regnava il buio delle norme di oscuramento. Piccole squadre di due o tre uomini con la rivoltella in tasca partivano in bicicletta e, raggiunto il proprio bersaglio, sparavano e scappavano, con una tecnica che in altre città, come nella vicina Reggio Emilia ad esempio, da mesi teneva nel terrore militi e gerarchi. E similmente i gappisti parmensi, almeno in quell’estate del 1944, riuscirono a sollevare una certa apprensione tra i fascisti, colpendone diversi e costringendo gli altri a non sentirsi più tanto sicuri nella città occupata. Il 3 giugno toccò al tenente colonnello Francesco Minucci ucciso in viale Toschi ma, qualche settimana prima, il 12 maggio, già l’agente della polizia repubblicana Ennio Podestà era stato ferito in via Toscana. Il 5 luglio fu poi la volta del brigadiere della GNR Socrate Bertoli, colpito nelle vicinanze di via Saffi e, dieci giorni dopo, dello squadrista Alfonso Acquarelli, ucciso vicino al ponte Dattaro. Il 18 luglio, invece, fu il milite scelto dell’Ufficio politico investigativo della GNR, Luigi Losi, a essere colpito in viale Caprera
(66).

E sempre con la tecnica del mordi e fuggi molte altre azioni vennero compiute in quei due mesi, soprattutto alla ricerca di armi e munizioni. Fu il caso, ad esempio, dell’assalto al corpo di guardia dei vigili
urbani di via Casa Bianca del 12 giugno o di quello, un mese dopo, a palazzo Marchi, sede del Comando provinciale dell’esercito della RSI (67). O, ancora, dell’irruzione, appena due giorni dopo, il 15 luglio, alla caserma di via Passo Buole, durante la quale rimase ucciso il comandante Rodolfo Maffei (68).

L’attività sovversiva e antinazionale [informava un rapporto della GNR] si è notevolmente intensificata e si manifesta in episodi di aggressioni individuali contro i migliori elementi del Partito e della GNR. Di pari grado sono stati intensificati gli arresti da parte della GNR di elementi pericolosi nel campo avversario (69).

Di fronte al dilagare dell’azione gappista, le autorità repubblicane emanarono una serie di norme volte a stringere il controllo sulla vita cittadina. Dal 20 luglio, ad esempio, nuove regole limitarono l’uso della bicicletta – che non fu più consentito su buona parte del territorio urbano – mentre qualche giorno prima, dal 14 luglio, il capo della provincia Leonardi aveva disposto che il coprifuoco fosse anticipato alle 21, ancor prima del tramonto (70).

Ma, naturalmente, le misure repressive non si limitarono a questo. Già da tempo, infatti, di fronte all’irrobustirsi dell’organizzazione partigiana e alla crescente spavalderia delle azioni armate, Questura e Prefettura invocavano presso il governo centrale e i comandi tedeschi l’esecuzione di operazioni militari in grande stile, che potessero riconsegnare al controllo delle autorità fasciste gli ormai vasti territori nelle mani dei “ribelli”
(71). Ma solo ora il ritiro delle truppe della Wehrmacht sulla Linea Gotica – che faceva del Parmense zona di immediato retrofronte – apriva una fase nuova nella repressione della guerriglia.

Contro le brigate in montagna i comandi germanici disposero tre grandi rastrellamenti che, per tutto il mese di luglio, investirono anche le province vicine con migliaia di uomini e reparti della Wehrmacht, della Polizia militare tedesca, della SD, della X Mas e della GNR
(72). Contro l’azione clandestina in città, invece, fu disposto il trasferimento a Parma di un comando della polizia di sicurezza SD, reparto riservato alla repressione dell’attività sovversiva, alla raccolta di informazioni e all’arresto e alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio.

Anche nel Parmense, infatti, si realizzarono alcune tappe della «soluzione finale» nazista. In provincia, a Monticelli Terme e a Scipione, furono creati centri di raccolta e internamento usati anche per imprigionare ebrei di altre province e, nel dicembre 1943, una circolare di Valli aveva ordinato che «tutti i loro beni, mobili ed immobili» dovessero «essere sottoposti ad immediato sequestro in attesa di essere confi
scati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana» (73). Anche Pino Romualdi, quando ancora era direttore della «Gazzetta di Parma», aveva contribuito fortemente alla campagna d’odio razziale che si abbatté sulla piccola comunità ebraica cittadina: «E vadano i puri ebrei al campo di concentramento a conoscere la vita squallida del recinto reticolato», aveva scritto in un editoriale dai toni oltremodo violenti il 3 dicembre 1943, mostrando quali fossero i sentimenti che regnavano all’interno della Federazione (74). Così, quando nel giugno successivo l’ispettore Papa prese informazioni circa la situazione degli ebrei in provincia, la gran parte della comunità – 94 persone su 185 – era già stata deportata nei campi del Reich, 64 persone erano riuscite a nascondersi o a fuggire e 27, per le loro gravi condizioni di salute o per l’età avanzata, erano state lasciate nelle loro case e assiduamente sorvegliate (75).

L’arrivo della SD segnò naturalmente un salto di qualità nella repressione dell’attività partigiana. Palazzo Rolli, dove il comando si stabilì, divenne presto uno dei luoghi più inquietanti della città, soprattutto per la spietatezza delle torture che venivano esercitate sui prigionieri durante gli interrogatori. Ed emozioni simili suscitò presto anche la sede della Brigata nera in via Walter Branchi, nei cui scantinati diversi reclusi trovarono la morte per sfinimento dopo le sevizie.

Nella repressione dell’attività partigiana, SD e Brigata nera operarono in stretta relazione, anche perché l’azione radicale della milizia del partito ben corrispondeva alle esigenze dei tedeschi che, da tempo – per lo meno dalla primavera e dalla cattura del distaccamento “Griffith” –, facevano pressioni sulle autorità repubblicane perché dessero un giro di vite all’eliminazione della guerriglia
(76). Già pochi giorni dopo la militarizzazione del PFR, infatti, gli uomini di Romualdi avevano riempito le celle di via Branchi di sospetti sovversivi e iniziato gli interrogatori che, durante la notte, riempivano le strade di urla lancinanti (77). Il 6 agosto, dunque, un rapporto della GNR segnalò che «il fermento che si era di recente manifestato in alcuni quartieri» era andato «mitigandosi in conseguenza degli arresti effettuati in questi giorni» (78) e, poco dopo, il 13 agosto, i militi registrarono un «lieve miglioramento» nella «situazione dello spirito e dell’ordine pubblico», non essendosi «verificati atti terroristici» cui, secondo loro, aveva «contribuito l’arresto di alcuni elementi e l’entrata in azione della “Brigata Nera”» (79).

Intorno alla SD gravitò anche una considerevole schiera di collaboratori e confidenti italiani che si muoveva agilmente in città e fu presto capace di infiltrarsi e procurarsi una certa conoscenza degli ambienti locali, non solo rispetto alle attività del movimento clandestino ma anche nei confronti degli alleati fascisti. Spesso, infatti, questa rete ausiliaria di informatori servì ai tedeschi per vigilare sulla lealtà delle istituzioni repubblicane, con le quali – diversamente dalle relazioni con la Brigata nera – i rapporti continuavano a essere delicati. Il toscano Remo del Sole, ad esempio, fu assunto dalla SD di Parma dal luglio al dicembre 1944 anche per raccogliere informazioni sul prefetto, sul questore e sui podestà della provincia
(80).

Tuttavia, con l’arrivo di Mario Buccolini, che dal 1° luglio sostituì Bettini e rimase in città fino al 30 settembre, anche i rapporti tra le istituzioni della RSI, la Federazione, la Brigata nera e la SD si distesero e, spesso, agenti della Questura partecipavano agli interrogatori e alle sevizie che avvenivano in via Branchi. Secondo un rapporto degli uffici di pubblica sicurezza del giugno 1945, Buccolini fu addirittura uno degli artefici di una sorta di «seconda polizia», una squadra armata fuori da ogni legalità e da ogni controllo che, per un certo periodo, ebbe sede all’hotel Button – dove alloggiavano diversi collaboratori della SD tra cui Remo del Sole – composta da funzionari di Pubblica sicurezza, militi della Brigata nera e uomini della SD che di notte eseguivano fermi, perquisizioni, arresti, sequestri, esecuzioni sommarie
(81).

L’estate 1944, dunque, se da un lato fu la stagione della fioritura del movimento clandestino, dall’altro segnò l’inizio di una sanguinosa e sistematica repressione, costellata dall’arresto e dall’esecuzione di numerosi partigiani
(82).

Essa, poi, culminò nell’eccidio di piazza Garibaldi del 1° settembre, quando l’uccisione nei pressi del macello pubblico di due militi della Brigata nera – Brenno Monardi “Bragòn” e Luigi Gonzaga – scatenò la rappresaglia più cruenta mai attuata dal fascismo parmense. La notte dopo l’attentato, infatti, sette detenuti vennero prelevati dalle carceri di San Francesco, portati in via Branchi, torturati e poi fucilati in stato di incoscienza nella vicina piazza Garibaldi
(83). Ma già nel pomeriggio camion carichi di militi della Brigata nera avevano assaltato i “capannoni del Cristo”, gli edifici ultrapopolari di via Venezia, sparando sulle case e ferendo diverse persone. Poi, verso sera, la spedizione punitiva si era diretta in Oltretorrente dove molti locali e osterie, luoghi ritenuti familiari ai “sovversivi” dei borghi, vennero distrutti. In via d’Azeglio, sotto il fuoco fascista era rimasta uccisa anche una donna, Cleonice Cavalca, che si era affacciata sulla porta della propria trattoria al tuonare degli spari.

Quella rappresaglia fu probabilmente voluta e orchestrata dal gruppo dirigente della Federazione e della Brigata nera con l’ovvia autorizzazione da parte della polizia tedesca e, in città, indusse una forte battuta d’arresto all’attività armata dei mesi precedenti. Inoltre, tra l’autunno e l’inverno 1944, l’intensa opera di spionaggio e infiltrazione della polizia tedesca permise la cattura di esponenti di rilievo dell’apparato clandestino. Un primo duro colpo era stato l’arresto, avvenuto il 3 agosto in circostanze abbastanza fortuite per opera della GNR e della Brigata nera, dell’avvocato Mario Jacchia, membro del Comando militare Nord Emilia, trovato in possesso di una consistente documentazione circa la rete clandestina e consegnato immediatamente alla SD
(84). Ora, la forte opera di repressione e controllo messa in campo da fascisti e tedeschi veniva a coincidere con le difficoltà dell’organizzazione partigiana seguite all’eccidio del 1°settembre e, per tutto l’autunno, le azioni armate in città furono progettate e portate a termine con grande fatica. In ottobre, ad esempio, il questore scriveva che non vi erano fatti di «speciale gravità» da segnalare mentre, nel mese successivo, lamentava solo l’uccisione di un milite della GNR (85).

Viceversa, tra novembre e dicembre, SD e Brigata nera diedero inizio a una lunga sequenza di arresti di membri dell’organizzazione cittadina e di partigiani delle SAP che operavano nelle campagne tra Parma e il Po. Tra essi anche alcune personalità importanti della rete cospirativa come Domenico Tomasicchio “Nullo”, vicecomandante militare di piazza, arrestato l’8 dicembre e morto qualche giorno dopo per le torture subite in via Branchi.

In gennaio, poi, altri arresti consentirono agli uomini della SD di forare il muro di sicurezza dell’apparato clandestino che, nei due mesi successivi, dovette subire molte perdite. Furono soprattutto due i colpi messi a segno dalla rete di spionaggio tedesca che fecero saltare l’intera struttura. Il primo avvenne il 14 febbraio, quando, in seguito alla confessione di un giovane arrestato qualche giorno addietro, la polizia tedesca fece irruzione nella bottega da idraulico di Dante Gorreri – trasferitosi da diversi mesi nel Comasco per incarico del PCI – e vi trovò una gran quantità di armi utilizzate dalle squadre cittadine. Lo stesso giorno, poi, sempre in base a quella confessione, vennero arrestati altri 65 uomini, tra cui alcuni importanti esponenti del movimento cospirativo come Max Casaburi, comandante del Comando di Piazza, Bruno Longhi, dirigente dell’attività di propaganda, o Eugenio Giandebiaggi, tra i responsabili del lavoro militare in città. Tutti gli arrestati vennero portati nelle celle di via Campanini – dove la SD si era trasferita poco tempo prima – e ripetutamente sottoposti a interrogatori dal sudtirolese Anton Rabanser, da Alessandro Goglio ed Enrico Sairani, collaboratori italiani della polizia tedesca. Per le violenzesubite Longhi morì il giorno dopo e, mentre gli altri vennero trasferiti nel lager di Bolzano, nemmeno il suo cadavere fu più ritrovato.

Nelle settimane seguenti, poi, altri arresti allargarono la falla apertasi nella rete partigiana e, il 4 marzo, un secondo colpo permise alla SD di scompigliare ciò che rimaneva del movimento in città. Alcuni suoi agenti, infatti, trovarono nel convento dei Padri Stimmatini l’archivio del SIP e, con esso, gli elenchi degli informatori, dei collaboratori, delle spie, le relazioni periodiche e molta altra documentazione circa l’attività cospirativa. Contemporaneamente, poi, riuscirono ad arrestarne il comandante Gavino Cherchi “Stella”, ucciso e gettato nelle acque del Po insieme a Ines Bedeschi e Alceste Benoldi dopo tre settimane di prigionia e sevizie.

Nei primi giorni di marzo, dunque, fascisti e tedeschi riuscirono a catturare numerosi uomini, circa 80 tra informatori, collaboratori e militanti – tra cui il commissario di polizia Mario Battistoni e l’agente Arsenio Romandetto, informatori del SIP all’interno della Questura – mentre coloro che, fortunosamente, riuscirono a sottrarsi all’arresto salirono in montagna e si unirono alle formazioni partigiane. Secondo il prefetto Antonino Cocchi, in quelle ultime settimane d’inverno, erano stati arrestati circa 300 individui «annidati anche in posti delicati ed in comandi, che ndebolivano la nostra compagine e aiutavano indegnamente i banditi»
(86).

Per la Resistenza in città sembravano essersi notevolmente ridotte le possibilità d’azione, la rete cospirativa era da ricostruire, i comandi da ristabilire, le squadre da riattivare. Molti, poi, erano dovuti scappare in montagna.

Tuttavia, verso la fine di marzo e in prossimità della fine della guerra – mentre intere vallate della provincia non erano più raggiungibili da tedeschi e fascisti e anche la via Emilia era per loro estremamente pericolosa – anche in città si cominciò a notare un nuovo attivismo. Cocchi, ad esempio, diede il segno della gravità della situazione facendo notare al Ministero dell’Interno come, in quei giorni, alcuni ufficiali dell’esercito della RSI e della GNR fossero stati assaliti e disarmati addirittura in pieno centro da gruppi di 5 o 6 uomini armati di sten. Inoltre, proseguiva il capo della provincia, le forze armate fasciste si erano sensibilmente ridotte mentre il movimento partigiano aveva di gran lunga ingrossato le proprie fila e controllava ormai l’intero territorio provinciale fino a pochi chilometri dalla città
(87). Ormai, dunque, le sorti di quella lunga guerra erano decise e, come laconicamente scriveva Cocchi, ai fascisti parmensi non rimaneva che

decidere se […] convenga orientarsi verso il combattimento, e quindi iniziarlo quando l’iniziativa può essere ancora nostra, oppure se è ancora ragionevole correre il rischio di attendere qualche grande favorevole avvenimento che possa disperdere l’incombente, minaccioso dilagare dei banditi. È vero [proseguiva il capo della provincia] che la eventualità di vedere occupata o meno da parte dei ribelli la città di Parma, non può dipendere dalla volontà delle Autorità repubblicane di Parma, pur prevedendo in queste la maggiore energia, ma dipende unicamente dalle decisioni che il comando delle bande ribelli crederà di prendere (88).

E infatti, sulle colline intorno alla città, i comandi partigiani stavano ormai organizzando l’insurrezione d’aprile e preparando i piani d’attacco al centro urbano. Nei quartieri popolari, poi, si era costituita anche una nuova brigata, la “Parma Vecchia”, dove furono inquadrati gli abitanti dei borghi che si preparavano a impedire che la ritirata tedesca lasciasse dietro di sé impianti e infrastrutture distrutte. Tra il 22 e il 23 aprile, mentre le formazioni partigiane della Divisione “Ottavio Ricci” premevano sulla periferia sud, i comandi tedeschi, con molti fascisti a seguito, abbandonarono Parma, lasciando dietro di sé piccoli nuclei di franchi tiratori, appostati su alcuni edifici, e centinaia di carte bruciacchiate, rimasugli del loro estremo tentativo di distruggere i documenti negli uffici della SD, per cancellare prove compromettenti che sarebbero giunte nelle mani della giustizia alleata. Barricate furono innalzate nei borghi e prigionieri vennero catturati tra i tedeschi e i fascisti in fuga verso Milano.

Il 26 aprile, infine, entrarono in città anche i mezzi militari alleati della 5ª Armata mentre i partigiani prendevano possesso degli edifici pubblici più importanti e Giacomo Ferrari “Arta”, comandante unico delle brigate partigiane del Parmense, veniva nominato nuovo prefetto (
89).

Terminava così, anche per la città di Parma, la fase più difficile e cruenta della Seconda Guerra Mondiale, venti mesi segnati dal progressivo, seppur faticoso, consolidarsi del movimento partigiano e dall’inasprirsi della repressione tedesca e fascista. Uno scontro in costante evoluzione e caratterizzato non solo dall’estendersi della rete clandestina nel cuore del potere nazifascista ma anche dal graduale mutare dei rapporti tra comandi tedeschi, PFR e autorità repubblicane, rapporti che non mancarono di diffidenza e sfiducia reciproche ma che seppero appianarsi di fronte al definirsi del conflitto civile che, come altrove, dilaniò la comunità.

NOTE

(1) Su questo episodio cfr. P. SAVANI, Antifascismo e lotta di liberazione a Parma. Cronache dei tempi, Parma, Guanda, 1972, pp. 86-87.

(
2) Sull’8 settembre e gli scontri a fuoco avvenuti in città cfr. M. ZANNONI, Parma 1943. 8 settembre, Parma, PPS, 1997.

(
3) Archivio Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Parma (d’ora in avanti AISREC), ST-FA, b. 3, fasc. A, Manifesto del Municipio di Parma, 9 settembre 1943.

(
4) Numerose testimonianze di protagonisti della Resistenza parmense ricordano la “riunione di Villa Braga” come atto di nascita della lotta armata in provincia. Tra le tante si rimanda alle memorie di Remo Polizzi (Il lavoro cospirativo. Novembre 1926 – aprile 1945, Bologna, Alfa, 1968), Luigi Porcari (Così si resisteva, Parma, Guanda, 1974), Luigi Leris (Dal carcere fascista alla lotta armata, Parma, Step, 1964), Dante Gorreri (Parma ’43. Un popolo in armi per conquistarsi la libertà, Parma, Step, 1975). A quella riunione furono presenti Giuseppe e Virginio Barbieri, Piero Campanini, Gino Cortese, Brunetto e Giacomo Ferrari, Dante Gorreri, Umberto Ilariuzzi, Bruno Longhi, Remo Polizzi, Luigi Porcari e Bruno Tanzi; vi erano poi tre ragazze, Iole Benna, Laura Polizzi e Maria Zaccarini, cui venne affidato il compito di tenere i primi collegamenti.

(
5) Sulla fuga dei prigionieri alleati nel Parmense dopo l’8 settembre cfr. M. MINARDI, L’orizzonte del campo. Prigionia e fuga dal campo PG 49 di Fontanellato (1943-1944), Fidenza (Pr), Mattioli, 1995.

(
6) Secondo il volume I caduti della Resistenza di Parma. 1921-1945 (Istituto storico della Resistenza di Parma, 1970, p. 147), fecero parte del primo CLN Dante Gorreri e Luigi Porcari per il Partito comunista, Biagio Riguzzi per il Partito socialista, Umberto Pagani per i repubblicani, Bruno Bianchi per il Partito d’Azione, Arturo Scotti per i liberali e Mario Bocchi e Giovanni Calzolari per la Democrazia cristiana. Cfr. anche L. TARANTINI, La resistenza armata nel Parmense. Organizzazione e attività operativa, Istituto storico della Resistenza di Parma, 1978, pp. 99-100. Sul rapporto  tra Micheli, il movimento cattolico e gli ambienti antifascisti cfr. M. VANIN, I cattolici di Parma, la guerra e la Resistenza, in G. VECCHIO, M. TRUFFELLI, Giuseppe Micheli nella storia d’Italia e nella storia di Parma, Roma, Carocci, 2002, pp. 414-447.

(
7) La situazione mutò parzialmente dopo i bombardamenti della primavera 1944, in seguito ai quali i tedeschi iniziarono a spostare i propri insediamenti verso la periferia e la campagna, per metterli al riparo da altre eventuali incursioni aeree. Sulla topografia dell’occupazione tedesca in città cfr. G. PISI, Aussenkommando Parma, L’attività della polizia di sicurezza-Sd, «Storia e documenti », parte prima, n. 5, 1999, pp. 63-91 e parte seconda, n. 6, 2001, pp. 135-157; L. KLINKHAMMER, Una città sotto l’occupazione tedesca: il caso di Parma, «Storia e documenti», n. 5, 1999, pp. 43-60. Sull’organizzazione dell’occupazione tedesca in Italia cfr. ID., L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino, Bollati Boringhieri, 1993. Il peso dell’occupazione gravò totalmente sull’amministrazione comunale di Parma, su cui ricaddero tutti i costi finanziari e politici. Fin dai primi giorni gli uffici comunali vennero assediati da continue richieste di ogni genere da parte degli occupanti: ai tedeschi servivano infatti ampi locali per stabilirvi uffici e alloggi per i comandi e per la truppa e tutto, secondo le circolari che la Prefettura emanava, doveva essere fornito e finanziato in prima battuta dagli enti comunali, con l’accordo che, successivamente, il governo mussoliniano avrebbe rimborsato i costi. Gli affitti delle case requisite, le spese di riscaldamento ed energia elettrica, così come gli interventi di manutenzione o i costi per l’arredamento di alloggi o caserme furono tutti sostenuti dalle casse comunali tanto che, secondo Marco Minardi, anche per questo il Comune di Parma impiegò tutta la seconda metà degli anni Quaranta per riportare i propri bilanci in pareggio. Cfr. M. MINARDI, Una città occupata, «Storia e documenti», n. 5, 1999, pp. 93-110: p. 95.

(
8) Per la sua nomina a commissario della federazione cfr. manifesto della federazione repubblicana in AISREC, ST/FA, b. 3, fasc. C; Antonio Valli commissario della Federazione Fasci Repubblicani, «Gazzetta di Parma», 21 settembre 1943.

(
9) «Non mi pare – scriveva Valli al capo della polizia repubblicana Tullio Tamburini nel dicembre 1943 – che si possa ulteriormente attendere che i tiepidi e i contrari, più o meno aperti, si inquadrino nel nuovo clima», Archivio del Museo del Risorgimento di Milano (d’ora in avanti AMRM), fondo “Antonio Valli”, Lettera di A. Valli a Tullio Tamburini, 28 dicembre 1943. Parte delle carte del fondo Valli è conservata in fotocopia anche all’Istituto storico della Resistenza di Parma. Tra i principali collaboratori di Valli vi furono Guglielmo Ferri e Luigi Venturini. Ferri fu vicecommissario federale dal novembre 1943. Fiorentino fu voluto a Parma da Valli del quale godeva «incondizionata considerazione […] per essersi dimostrato attivissimo, energico e di pura fede fascista», Archivio Centrale dello Stato (d’ora in avanti ACS), Ministero dell’Interno (MI), Divisione Generale di Pubblica Sicurezza (DGPS), Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore generale di Ps Domenico Coco al capo della polizia, 29 febbraio 1944. Il 15 settembre 1944 Ferri divenne segretario della Federazione di Reggio Emilia. Per una sua biografia cfr. P. CALESTANI, Guglielmo Ferri. “Fascista integrale”, «RS», n. 89, aprile 2000, pp. 39-54. Venturini, invece, fu nominato vicequestore nel marzo 1944 su proposta di Valli. In precedenza era stato vicesegretario della Federazione e, in quanto tale, aveva diretto i servizi della polizia federale. Secondo l’ispettore Coco, Venturini era noto
in città e aveva suscitato «nel pubblico un’impressione sfavorevole e direi anche ostile […] per i numerosi arresti compiuti spesso senza seri motivi ed era anche noto come individuo di pochi scrupoli». Anche dopo la nomina a vice questore, scriveva Coco, Venturini, «scarsamente colto e di limitata intelligenza», aveva continuato «di sua iniziativa o solo d’intesa con Ferri Guglielmo» a operare arresti e perquisizioni «con scarso criterio di opportunità», ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore generale di Ps D. Coco al capo della polizia, 30 marzo 1944.

(
10) AMRM, “Fondo A. Valli”, Relazione di G. Ferri sulla situazione politica della provincia di Parma al capo della provincia A. Valli, 30 settembre 1943.

(
11) AISREC, NF-FA, fasc. A, Lista «Ostaggi» a cura del vicecommissario
federale del PFR di Parma, G. Ferri, s.d.

(
12) Cfr. ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore generale di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 gennaio 1944. Sui quarantacinque giorni del governo Badoglio a Parma cfr. F. SICURI, La “fiduciosa attesa”. I quarantacinque giorni a Parma: 25 luglio-8 settembre 1943, Parma, UNI.NOVA, 2010.

(
13) AISREC, NF-FA, fasc. A, Circolare del commissario federale del PFR di Parma, A. Valli, ai commissari dei Fasci repubblicani della provincia, 9 novembre 1943.

(
14) Ibidem.

(
15) AMRM, fondo “A. Valli”, Lettera di Amerigo Ghirardi al capo della provincia A. Valli, 14 dicembre 1943.

(
16) Ibidem.

(
17) AMRM, fondo “A. Valli”, Nota di Guglielmo Ferri al capo della provincia A. Valli, 15 dicembre 1943.

(
18) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 gennaio 1944.

(
19) Ibidem.

(
20) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 30 marzo 1944.

(
21) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 gennaio 1944.

(
22) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”,
Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 febbraio 1944.

(
23) Così denunciava Coco nel marzo 1944, informando il capo della polizia di essere intervenuto nuovamente presso Valli perché le squadre di partito fossero sciolte e perché i servizi di polizia fossero accentrati nelle mani della Questura che avrebbe potuto «a seconda dei casi, accettare la collaborazione di fascisti o di semplici cittadini », ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 3 marzo 1944.

(
24) Ibidem.

(
25) Il 2 febbraio l’ispettore Coco scrisse al capo della polizia che non era «stato raccolto alcun elemento dalle accurate indagini finora svolte per stabilire se si tratti, come era sembrato al primo momento, di una imboscata sovversiva, o se piuttosto non siano state lanciate le bombe dagli stessi militi, che ne erano provvisti, in un momento di confusione e poi di panico», ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 febbraio 1944. Qualche settimana dopo, il 29 febbraio, Coco aggiungeva che la situazione a Parma era «divenuta abbastanza delicata e forse imbarazzante, in quanto è molto diffusa tuttora la opinione che gli incidenti verificatisi il 31 scorso gennaio davanti al bar Centrale […] non sono dovuti a proditori attacchi sovversivi, come si è voluto affermare dai fascisti e dalle stesse autorità, ma sarebbero invece la conseguenza di atti inconsulti di qualcuno degli stessi giovani fascisti partecipanti alla manifestazione. […] è stato stabilito che due delle quattro bombe, esplose nell’occasione, furono lanciate da militi che, sentite le prime esplosioni, ritennero di trovarsi in presenza di un attacco sovversivo», ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 29 febbraio 1944.

(
26) Ibidem.

(
27) Leonardi, al suo arrivo, tentò di pacificare le tensioni cittadine anche con la scarcerazione di alcuni antifascisti imprigionati da diversi mesi, come il professor Ferdinando Bernini. Provvedimenti che, secondo l’ispettore Coco, avevano «prodotto ottima impressione », ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 30 marzo 1944.

(
28) Su questi temi cfr. anche A. PRETI, Assetto e rappresentazione del potere nella Rsi. Le province emiliane, «Italia contemporanea», giugno 1993, n. 191, pp. 305-316.

(
29) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 30 marzo 1944.

(
30) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 29 febbraio 1944. Scriveva ancora Coco: «Si soggiunge che l’uccisione, a titolo di rappresaglia, dei tre noti elementi sarebbe stata compiuta da fascisti del luogo per ordine superiore, allorché, pel divieto opposto dal Comando Militare Tedesco, non fu possibile far riunire il Tribunale Straordinario», ibidem.

(
31) AMRM, fondo “A. Valli”, Nota senza firma, 6 febbraio 1944, citato anche in G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte prima, cit., p. 78.

(
32) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 gennaio 1944. La relazione della Militärkommandantur è citata in C. GENTILE, I rapporti periodici della Militärkommandantur 1008, «Storia e documenti», n. 5, 1999, p. 127.

(
33) Cfr. G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte prima, cit., p. 75.

(
34) Come ben emerge dai rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana, le principali azioni di cui le prime bande armate si resero protagoniste nelle valli parmensi furono assalti a caserme e presìdi, a posti di avvistamento aereo e a uffici comunali per procurarsi armi e munizioni; assalti a uffici postali, a case di proprietari o benestanti, a negozi, caseifici e consorzi per procurarsi denaro, viveri, vestiti, muli, furgoncini e mezzi di trasporto; assalti agli uffici del censimento del bestiame per distruggerne le carte.

(
35) «Debbo far presente – scriveva l’ispettore Coco a proposito dell’omicidio di Gaibazzi – che il predetto Gaibazzi, pregiudicato ed ammonito, già Vice Capo squadra della Milizia, ha fatto parte delle squadre della Polizia Repubblicana e, secondo alcune voci, sarebbe stato uno degli uccisori dei tre antifascisti, soppressi la notte del 31 gennaio scorso», ACS ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 3 marzo 1944. Su questo episodio si vedano anche i notiziari della Guardia Nazionale Repubblicana del 1° e 9 marzo 1944 (rispettivamente a p. 12 e p. 19) conservati alla Fondazione “Luigi Micheletti” di Brescia (d’ora in avanti FLMB) e ora consultabili anche on-line all’indirizzo www.musil.bs.it/web/patrimonio/Documentazione/Archivio/Notiziari/. Sebbene non completa, copia dei notiziari relativi al Parmense è conservata all’Istituto storico della Resistenza di Parma. Nel 1974, la prima parte dei notiziari – dal novembre 1943 al giugno 1944 – venne pubblicata nel volume a cura di Luigi Bonomini et al., Riservato a Mussolini. Notiziari giornalieri della Guardia nazionale I giorni neri. Parma 1943-1945 51 repubblicana. Novembre 1943-giugno 1944. Documenti dell’archivio Luigi Micheletti, Milano, Feltrinelli, 1974 (per la parte riguardante Parma cfr. pp. 167-176).

(
36) Cfr. FLMB, Notiziari GNR del 30 marzo 1944 (p. 8), 2 aprile (p.9), 9 aprile (p. 9), 19 aprile (p. 10), 25 aprile (p. 7), 30 aprile (p. 16), 8 maggio (p. 9), 12 maggio (p. 8), 19 maggio (p. 9).

(
37) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore Alberto Bettini al Ministero dell’Interno, 4 aprile 1944 e Relazione sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 30 marzo 1944. Sul Fronte della Gioventù e sui Gruppi di difesa della donna si vedano i saggi di Pietro Calzolari (I giovani comunisti parmensi dal Fronte della Gioventù alla Federazione Giovanile Comunista Italiana. 1943-1949) e di Alba Mora (Per una storia dell’associazionismo femminile a Parma. GDD e UDI tra emancipazione e tradizione. 1943-1946) in F. SICURI (a cura di), Comunisti a Parma, Parma, Step, 1986, pp. 349-382 e pp. 297-348.

(38) Fantasia e realtà, «Gazzetta di Parma», 16 marzo 1944. Ad Eugenio Copelli fu intitolato uno dei primi distaccamenti partigiani del Parmense e,  successivamente, la 31ª Brigata Garibaldi. Per una sua biografia cfr. W. GAMBETTA, Organizzava i Gap in città, «Gazzetta di Parma», 9 marzo 2004.

(
39) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 14 maggio 1944. Cfr. P. BONARDI, Giuseppe Cavalli. Un ribelle per fede e per amore, Milano, Centro Ambrosiano, 2004.

(
40) Ibidem.

(
41) Ibidem.

(
42) FLMB, Notiziario GNR del 26 aprile 1944, p. 4. Su questo episodio cfr. anche M. MINARDI, Ragazze dei borghi in tempo di guerra. Storie di operaie e di antifasciste dei quartieri popolari di Parma, Parma, Istituto storico della Resistenza, 1991, pp. 137-143 e il video Passa Giordano, passa, dvd prodotto da Istituto d’Arte P. Toschi e Istituto storico della Resistenza di Parma, 2005.

(
43) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 14 maggio 1944.

(
44) AISREC, NF-FA, fasc. B, Lettera del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 20 aprile 1944. A sua volta il ministro Buffarini Guidi scrisse a Mussolini: «Duce, alle ore 17 ha avuto inizio il noto processo contro i trentasette ribelli. Alle ore 18 una folla composta prevalentemente di donne fra le quali madri e congiunte di imputati, ha invocato dal Duce pietà per i giudicandi, in relazione soprattutto alla pubblicazione avvenuta oggi del bando che consente l’impunità per gli sbandati che si presentano entro trenta giorni. Le considerazioni opposte da alcuni funzionari sulla illogicità delle considerazioni avanzate non è valsa a fare recedere la folla dall’insistere. La polizia è stata costretta a sparare alcuni colpi […]. La sentenza si prevede per mezzanotte e la condanna a morte sarà ertamente emessa per tutti gli imputati. La ripercussione nella città sarà notevolissima. Il tribunale è ancora in tempo per ridurre il numero delle pene capitali e può, in ogni caso, inoltrare eventualmente domanda di grazia», AISREC, NF-FA, fasc. B, Lettera del ministro dell’Interno Guido Buffarini Guidi al Duce, 20 aprile 1944.

(
45) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 14 maggio 1944.

(
46) Ibidem.

(
47) «Da rilevare – scriveva sempre Bettini – che anche recentemente, appartenenti a bande ribelli catturati da reparti germanici sono stati addirittura rimessi in piena libertà tanto che, per due di essi, già noti a quest’ufficio quali elementi pericolosissimi, è stato necessario intervenire presso la locale Feldgendarmeria allo scopo di revocare un simile provvedimento, del tutto inammissibile dati i precedenti dei suddetti e l’attività criminale da essi svolta», ibidem. Su questo episodio cfr. anche ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica ed economica dell’ispettore generale di polizia A. Papa al Ministero dell’Interno, 29 giugno 1944. Sulla cattura di Musa e Maria Zaccarini e sulle importanti informazioni circa l’organizzazione partigiana che gli agenti ritrovarono in quella occasione cfr. FLMB, Notiziario GNR del 22 luglio 1944, pp. 10-15. Cfr. anche P. BONARDI, Scambi di prigionieri e di ostaggi durante la guerra di Liberazione, «Storia e documenti», parte prima, n. 1, gennaio-giugno 1989, pp. 71-95; parte seconda, n. 2, luglio-dicembre 1989, pp. 95-123; parte terza, n. 3, gennaio-giugno 1990, pp. 65-87.

(
48) AISREC, MI-PR, b. 6, Promemoria del questore A. Bettini per il capo della provincia, 6 giugno 1944.

(
49) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica ed economica dell’ispettore generale di polizia A. Papa al Ministero dell’Interno, 29 giugno 1944.

(
50) Ibidem.

(
51) Ibidem.

(
52) Cfr. D. GAGLIANI, Brigate nere. Mussolini e la militarizzazione del Partito fascista repubblicano, Torino, Bollati Boringhieri, 1999.

(
53) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica ed economica dell’ispettore generale di polizia A. Papa al Ministero dell’Interno, 29 giugno 1944. Il 2 febbraio l’ispettore Coco aveva comunicato al capo della polizia che su 5.240 reclute richiamate alle armi in città e provincia se ne erano presentate solo 3.195. Degli oltre 2.000 renitenti 984 erano assenti giustificati ma oltre 1.000 gli ingiustificati. I volontari, poi, erano solo 18. Alla fine di marzo, dopo il bando del 18 febbraio, in provincia si erano presentati solo 245 richiamati alle armi. 235 risultavano assenti giustificati mentre ben 743 ingiustificati. Cfr. ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazioni sulla situazione politica dell’ispettore di Ps D. Coco al capo della polizia, 2 febbraio 1944 e 30 marzo 1944.

(
54) FLMB, Notiziario GNR del 25 giugno 1944, p. 11.

(
55) FLMB, Notiziario GNR del 10 aprile 1944, p. 4. Ancora a maggio le relazioni degli organi di sicurezza indicavano che la situazione politica era «stazionaria, né sembra che l’orientamento della massa sia suscettibile di ravvedimento, data la sfiducia che esiste», FLMB, Notiziario GNR del 14 maggio 1944, p. 8.

(
56) FLMB, Notiziario GNR del 10 aprile 1944, p. 4.

(
57) FLMB, Notiziario GNR del 3 marzo 1944, p. 3.

(
58) FLMB, Notiziario GNR del 17 aprile 1944, p. 2. Cfr. L. KLINKHAMMER,
Una città sotto l’occupazione tedesca… cit., p. 52.

(
59) FLMB, Notiziario GNR del 30 marzo 1944, p. 6.

(
60) FLMB, Notiziario GNR del 14 maggio 1944, p. 8. Ancora nel marzo 1945, la questura segnalava al governo centrale che «anche i quasi ininterrotti sorvoli, mitragliamenti e bombardamenti di aerei nemici, senza che una qualsiasi difesa ne possa ostacolare l’azione, determinano, oltre che uno stato di nervosismo e di viva preoccupazione anche qualche sarcastico commento», ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore Liberale Scotti al capo della polizia, 6 marzo 1945.

(
61) FLMB, Notiziario GNR del 2 giugno 1944, p. 5. Il 13 maggio vennero colpiti anche il Palazzo del Governo e la Questura, con gravi e irrimediabili danni non solo agli immobili ma anche agli archivi e al carteggio degli uffici del questore e del Gabinetto, andati quasi completamente distrutti insieme al Casellario giudiziario. Fu
invece recuperato sotto ingenti cumuli di macerie lo schedario dei sovversivi e quello degli stranieri e l’Archivio di Gabinetto. Nella stessa incursione venne colpito anche il carcere di San Francesco in cui erano detenuti circa un migliaio di prigionieri. Una ventina morì sotto le bombe mentre 117 riuscirono a evadere e a dirigersi in montagna, tra cui Giacomo Crollalanza, il futuro comandante Pablo. Cfr. ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica ed economica dell’ispettore generale di Polizia A. Papa al Ministero dell’Interno, 29 giugno 1944. Sui bombardamenti di Parma cfr. M. PELLEGRI, Parma 1943-1945. Le ferite della guerra e la rinascita della città, Parma, Mup, 2006.

(
62) Per tutte queste informazioni si veda la preziosa ricostruzione di luoghi ed eventi compiuta da R. BIANCHI, La cartella rossa. La Resistenza in città. Memorie e testimonianze raccolte da un vecchio combattente clandestino, a cura di G. Pisi e M. Giuffredi, Parma ANPI-ANPPIA, 2010.

(
63) Il 19 agosto 1944, nelle carceri di San Francesco, Gennaro Capuano, Enrico Marchesano e Giuseppe Patrone, tre guardie carcerarie addette alla sorveglianza dei prigionieri politici, vennero fucilati dopo la scoperta dei loro legami con il movimento partigiano. Cfr. FLMB, Notiziario GNR del 24 agosto 1944, p. 24.

(
64) Sulle missioni alleate e sui loro rapporti con le formazioni partigiane nel Parmense cfr. Messaggi dall’Emilia. Le missioni n. 1 Special Force e l’attività di intelligence in Emilia, 1944-1945, a cura di M. Minardi e M. Storchi, Parma, Istituto storico della Resistenza, 2003.

(
65) Relazione per il territorio della Mk 1008, Parma, per il periodo dal 16 giugno al 15 luglio 1944, cit. in C. GENTILE, I rapporti periodici… cit., p. 198. Sull’attività di sabotaggio all’interno della società telefonica Timo cfr. B. MANOTTI, I«ribelli» della Timo. Storia di un gruppo sappista nella Resistenza. Parma 1943-1945, Roma, Ediesse, 2010.

(
66) Per tutti questi episodi si vedano i notiziari della GNR del 19 maggio (p. 17), 9 giugno (p. 42), 21 luglio (p. 19), 22 luglio (p. 44) e 23 luglio 1944 (p. 34). Cfr. anche ACS, MI, DGPS, Attività ribelli RSI 1943-45, b. 9, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 25 luglio 1944 e Relazione del questore Mario Buccolini al Ministero dell’Interno, 5 agosto 1944.

(
67) Alle dieci di sera del 13 luglio, un gruppo di uomini armati riuscì a entrare nel corpo di guardia del Comando a bordo di un camioncino, accodandosi a un autocarro dell’esercito che stava entrando nel cortile con un carico di farina. Una volta entrati, gli uomini a bordo e altri che li avevano seguiti in bicicletta, sorpresero i militari di guardia, li disarmarono e portarono via tutte le armi e le munizioni presenti, cfr. FLMB, Notiziari GNR del 19 luglio (p. 67) e 21 luglio 1944 (p. 44). Cfr. anche ACS, MI, DGPS, Attività ribelli RSI 1943-45, b. 9, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 25 luglio 1944. Per l’assalto alla caserma dei vigili cfr. FLMB, Notiziario GNR del 27 giugno 1944, p. 36.

(
68) Cfr. FLMB, Notiziari GNR del 19 luglio (pp. 61-62, 68) e 7 agosto 1944 (p. 20). Cfr. anche ACS, MI, DGPS, Attività ribelli RSI 1943-45, b. 9, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 25 luglio 1944. Si veda anche G. PISI, 1943-1945. Parma e la sua provincia sotto l’occupazione tedesca, guida e mappa storica, Parma, Istituto storico della Resistenza, 2000.

(
69) FLMB, Notiziario GNR del 29 luglio 1944, p. 7.

(
70) AISREC, ST-FA, b. 3, fasc. A, manifesto del capo della provincia, 10 luglio 1944 e del Comune di Parma, 20 luglio 1944; fasc. B, manifesto del capo della provincia, 14 luglio 1944. Nel dicembre, poi, una nuova ordinanza comunale impose di esporre all’ingresso di ogni casa della città l’elenco dei suoi abitanti, cfr. AISREC, ST-FA, b. 3, fasc. A, manifesto del Comune di Parma, 16 dicembre 1944.

(
71) «Per potere efficacemente debellare e stroncare l’attività criminosa di dette bande – scriveva Bettini già nel marzo 1944 – occorrerebbe organizzare una vera operazione di polizia di vasta portata con l’impiego di reparti all’uopo addestrati e convenientemente armati sotto la direzione di un unico comando interprovinciale possibilmente militare», ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore A. Bettini al Ministero dell’Interno, 25 marzo 1944. In prossimità dell’estate, intere zone dell’Appennino parmense erano passate sotto il controllo partigiano, come le due valli del Ceno e del Taro, dove i garibaldini della 12ª Brigata erano riusciti ad affrancare dal controllo nazifascista tutti i centri, da Pellegrino Parmense a Bardi. In alcuni di essi, le comunità vennero poi chiamate a eleggere un sindaco e una nuova amministrazione mentre gli organi della RSI dovettero sospendervi i loro servizi come quello dei trasporti, quello postale, i censimenti per il lavoro in Germania o gli ammassi dei prodotti agricoli.

(
72) Le tre operazioni di rastrellamento, ideate dal comando dell’aviazione tedesca affidato al generale Walter von Hippel, si svolsero in tempi diversi: dal 30 giugno al 7 luglio Wallenstein I interessò le vallate parmensi e reggiane tra la statale della Cisa e quella del Cerreto; la seconda fase, dal 18 al 29 luglio, investì l’area a ovest della Cisa, le valli del Ceno e del Taro; la terza, tra il 30 luglio e il 7 agosto, si abbatté sulla zona della “repubblica di Montefiorino”, tra il Reggiano e il Modenese. Cfr. C. GENTILE, Truppe tedesche e repressione antipartigiana nell’Emilia Occidentale, «Storia e documenti», 2001, n. 6, pp. 115-133.

(
73) AISREC, NF-FA, fasc. A, Copia della circolare del capo della provincia, A. Valli, diramata dal vice commissario federale G. Ferri ai commissari dei Fasci repubblicani della provincia, 3 dicembre 1943. Sulla deportazione degli ebrei parmensi cfr. B. MANOTTI, C. CAVAZZI, Presenza ebraica nel Parmense: un percorso nella memoria, guida e mappa storica, Istituto storico della Resistenza, 2004; M. MINARDI, La cancellazione. Le leggi razziste e la persecuzione degli ebrei a Parma 1938-1945, «Storia e documenti», 1989, n. 2, pp. 65-93. Si vedano anche i saggi di Marco Minardi (Gli ebrei parmensi tra discriminazione e deportazione) e Roberto Spocci (La confisca dei beni ebraici nel 1943-1945) in Ebrei a Parma. Atti del convegno, Parma 3 marzo 2002, a cura di L. Masotti, Parma, Donati, 2005, pp. 87-119 e pp. 121-152.

(
74) P. ROMUALDI, Finalmente, «Gazzetta di Parma», 3 dicembre 1943.

(
75) Cfr. ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, I giorni neri. Parma 1943-1945 53 fasc. “Parma”, Relazione sulla situazione politica ed economica dell’ispettore generale di polizia A. Papa al Ministero dell’Interno, 29 giugno 1944.

(
76) Sui rapporti tra Brigata Nera e SD cfr. M. MINARDI. L’ultima notte di agosto. Il martirio di Giuseppe Barbieri, Bologna, Clueb, 2003, pp. 37-78; G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte seconda, cit., pp. 135-157.

(
77) Nel settembre 1944 la Brigata di Parma era composta da circa 260 volontari (su 300 iscritti al PFR che avevano chiesto di arruolarsi) suddivisi in 3 compagnie, una delle quali intitolata a Virginio Gavazzoli e comandata da Egisto Maestri che, dal gennaio 1945, sostituì Gaetano Pattarozzi alla direzione dell’ufficio politico, reparto che si occupava degli interrogatori dei prigionieri rinchiusi in via Branchi. Con lui lavoravano Giuseppe Cavatorta, Carlo Rognoni, padre del federale, Enrico Cortellini, Umberto Festi e il toscano Erno Manente, agente alle dipendenze della SD tedesca distaccato presso la Bn. Se sospettati di svolgere un ruolo di rilievo nell’organizzazione clandestina, i prigionieri venivano immediatamente trasferiti alla SD. Cfr. G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte seconda, cit., pp. 136-137.

(
78) «Si ha poi motivo di ritenere – proseguiva il notiziario – che i responsabili delle varie aggressioni contro militi e fascisti abbiano in buona parte lasciato la città per sottrarsi alla cattura, sapendo di essere stati individuati», FLMB, Notiziario GNR del 6 agosto 1944, p. 5.

(
79) FLMB, Notiziario GNR del 13 agosto 1944, p. 8.

(
80) Sulla vicenda di Remo del Sole e sulla sua attività di collaborazione con la SD di Parma cfr. G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte prima, cit., pp. 73-75.

(
81) AISREC, Mi-Pr, b. 11, Rapporto della Questura di Parma, 22 giugno 1945. Cfr. G. PISI, Aussenkommando Parma…, seconda parte, cit., p. 139.

(
82) Solo nei due giorni tra il 29 e il 31 agosto, ad esempio, ben cinque partigiani furono fucilati da pattuglie della Brigata nera, Enrico Borrini, Zimanno Riccò e Primo Tonelli in via Montanara e, in via Abbeveratoia, Ermes Benaglia e Vittorio Copelli. Proprio in seguito all’uccisione di quest’ultimo, secondo un rapporto della GNR, era stato organizzato l’attentato contro i due militi della Brigata nera: «Tale atto terroristico – scrivevano i militi – trova indubbiamente riscontro nell’uccisione dell’evaso Copelli che rappresentava, in campo avversario, una bandiera. L’azione di controrappresaglia eseguita dalla Brigata Nera ha inasprito ancora di più i comunisti di Oltretorrente che hanno chiaramente palesato le loro intenzioni di vendetta per i giustiziati. La situazione di equilibrio locale è venuta così completamente a cadere», FLMB, Notiziario GNR del 12 settembre 1944, p. 7.

(
83) Si trattò di Giuseppe Barbieri, Afro Fantoni, Vincenzo Ferrari, Gedeone Ferrarini, Eleuterio Massari, Ottavio Pattacini e Bruno Vescovi. Cfr. M. MINARDI, L’ultima notte di agosto… cit., pp. 84-88.

(
84) Otto giorni dopo l’arresto, Jacchia venne fucilato vicino al Po e il suo cadavere, come peraltro quello di molti altri prigionieri morti sotto tortura, venne gettato nelle acque del fiume senza essere più ritrovato. Cfr. FLMB, Notiziario GNR del 12 agosto 1944, p. 47; G. PISI, Aussenkommando Parma…, parte prima, cit., p. 69. Il giorno prima, il 2 agosto, in città venne arrestato anche Giorgio Amendola, giunto a Parma per incontrarsi con i dirigenti del partito comunista e discutere dell’attività militare in città. Amendola fu trattenuto diversi giorni a palazzo Rolli e poi rilasciato, cfr. G. AMENDOLA, Lettere a Milano. Ricordi e documenti. 1939-1945, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 369-379.

(
85) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”, Relazione del questore L. Scotti al capo della polizia, 6 dicembre 1944. L’11 novembre, poi, alcuni partigiani armati di mitra assaltarono la caserma dei militi dell’Unione nazionale protezione antiaerea (Unpa) di via Langhirano, cfr. ACS, MI, DGPS, Attività ribelli RSI 1943-45, b. 9, fasc. “Parma”, Relazione del questore L. Scotti al Ministero dell’Interno, 5 dicembre 1944.
(
86) ACS, MI, DGPS, Categorie annuali 1943-45 RSI, b. 6, fasc. “Parma”,
Relazione sulla situazione interna del capo della provincia Antonino Cocchi al Ministero dell’Interno, 24 marzo 1945.

(
87) Ibidem.

(
88) Ibidem.

(
89) Su Giacomo Ferrari cfr. M. GIUFFREDI, G. MASSARI E M. RINALDI (a cura di), Giacomo Ferrari. Un uomo, una terra, una storia, Roma, Carocci, 2004.

 
 
   Portale dedicato alla Storia di Parma e a Parma nella Storia, a cura dell'Istituzione delle Biblioteche di Parma
Privacy
Site by e-Project srl